Tutto sui sensori

Il rapporto fra dimensioni, risoluzione, resa alle basse luci e sfocato nei sensori CCD e MOS, tratto dall’ultimo numero di Tutto Digitale 101. Con la correzione di un nostro ‘errore di sbaglio’, uno ‘0’ in più…

Intorno ai sensori c’è sempre molto interesse. In particolare, nella rubrica della posta tecnica, pubblicata su Tutto Digitale 101, in risposta alle domande del lettore Mario Iandolo di Foggia, si è parlato di rapporto fra dimensioni, risoluzione, resa alle basse luci e sfocato… con tanto di nostro ‘errore di sbaglio’ (peraltro facilmente identificabile, dato che precedentemente il concetto esposto era spiegato nella maniera corretta: abbiamo aggiunto uno zero al numero 12, vedi oltre).
Scusandoci per il disguido, pubblichiamo qui la versione corretta del testo.

‘(…) Tale dispositivo elettronico, che appare in forma di chip, è sostanzialmente caratterizzato da tre elementi, ovvero la tipologia costruttiva, le dimensioni, la risoluzione.

La tipologia costruttiva di fatto determina il comportamento medio di tutti i dispositivi. Dall’adozione generalizzata dei sensori CCD, qualche anno fa, si è passati oggi ai CMOS, che offrono buone prestazioni complessive (comprendendo in questo anche il consumo energetico) con l’eccezione di un effetto rolling shutter.
Quale sia il tipo di sensore, in ogni caso, questo è caratterizzato innanzitutto dal numero di pixel. Agli albori della fotografia digitale, un milione di pixel (1 MP) era un valore da record, mentre oggi sappiamo che le mirrorless e le reflex più aggiornate possono arrivare senza problemi ad alcune decine di megapixel. Con tali valori, è possibile stampare non solo ingrandimenti fotografici, ma, di fatto, veri e propri manifesti, senza perdita di qualità di immagine. In tal senso oggi la corsa al MP non ha più tanto valore.
Anche sulle compatte, in ogni caso, sono oggi disponibili sensori da svariati milioni di pixel, il che non significa però che un ingrandimento realizzato a partire da una compatta da 20 MP sia uguale a quello ottenibile da una reflex da 20 MP; come minimo, la miniaturizzazione dell’ottica della prima rispetto alla seconda comporta limiti evidenti, e poi c’è la differenza di taglia (cioè dimensioni) del sensore.
Dai modelli davvero piccoli, di fatto frazioni di pollice, a quelli da un pollice, quindi più grandi come l’APS-C e il Full Frame (corrispondenti al 24 x 36 mm), per non parlare dei modelli installati nelle macchine medio formato, c’è davvero l’imbarazzo della scelta.  A livello attuale della tecnologia è praticamente possibile, o lo sarà comunque prossimamente, ‘infilare’ qualsiasi numero di pixel in qualsiasi taglia di sensore. Ma i risultati sono assai diversi. Maggior densità di pixel, a parità di dimensioni del sensore, significa minore capacità di catturare la luce, almeno allo stato attuale della tecnologia. In altre parole, fra due sensori ad esempio APS-C, uno da 12 MP e uno da 50 MP, molto probabilmente il primo sarà caratterizzato da migliore resa alle basse luci, con minor rumore.
In realtà, le aziende, se da una parte corrono la gara dei MP, dall’altra contemporaneamente partecipano a quella degli ISO, sviluppando sensori in cui la priorità è la ricerca della massima sensibilità, non della massima risoluzione. II risultato di questa filosofia è che oggi c’è una grande disponibilità di marche e modelli (vedi ad esempio Sony che offre diverse varianti della mirrorless A7), che aiutano l’utente a trovare la soluzione più adatta alle proprie esigenze.
Infine, la questione dello sfocato, o effetto bokeh. Un effetto oggi assai di moda con l’avvento delle videoreflex. Queste, infatti, sono dotate di sensore di taglia APS-C o addirittura Full Frame, ovvero di taglia superiore a quello tipico delle videocamere anche professionali (ma non superiori a quelle per il cinema).
Ma facciamo un passo indietro. Come anche per la fotografia analogica, le leggi della fisica dicono che la profondità di campo è determinata dalla lunghezza focale dell’ottica impiegata e dall’apertura del diaframma impostata. L’area di messa a fuoco si riduce all’aumentare della focale, e al crescere dell’apertura del diaframma. In altre parole, per fotografie caratterizzate dall’effetto bokeh, o per riprese dal taglio cinematografico, bisogna lavorare con diaframma molto aperto e con un teleobiettivo.
Con la fotografia digitale c’è un elemento in più, la dimensione del sensore; fermo restando la validità dell’influenza di focale e diaframma, bisogna considerare appunto anche la dimensione del sensore.
Ricapitolando, quindi, per la minima profondità di campo bisogna lavorare con diaframma molto aperto, con un’ottica molto spinta e un sensore di grandi dimensioni. Al contrario, la massima profondità di campo è facilmente ottenibile con diaframmi piuttosto chiusi, con ottiche grandangolari e sensori di piccole dimensioni.
Ricordate queste semplici regole, sarà facile effettuare una scelta tecnica adeguata alle proprie esigenze artistiche o pratiche.

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