Le macchine da presa digitali hanno ormai sostituito da tempo la pellicola cinematografica, offrendo una resa molto simile e spesso superiore a quella del 35mm, sia in termini di gamma dinamica che di definizione. La diffusione dei formati video RAW, inoltre, permette oggi di lavorare su immagini grezze, da cui è possibile ottenere i colori, le luci e le ombre che più si adattano ai gusti del regista e del direttore della fotografia. Ma esistono professionisti che si affidano alla pellicola in situazioni particolari: registi del calibro di Christopher Nolan e Quentin Tarantino, ad esempio, hanno preferito la pellicola 70mm al digitale per i loro ultimi capolavori. Rispetto al 35mm, infatti, il 70mm offre una superficie di stampa più ampia, ovvero immagini più dettagliate e spettacolari, da apprezzare nelle sale dotate di grandi schermi. Tarantino ad esempio ha sfruttato le potenzialità del 70mm nel film The Hateful Eight per raccontare spesso all’interno della stessa inquadratura due livelli narrativi diversi, uno in primo piano e uno sullo sfondo.
Non che questa tecnica non sia possibile in digitale o in 35mm, ma la maggiore risoluzione del 70mm garantisce risultati migliori. Forse non è un caso che alcune pietre miliari nella storia del cinema come Ben-Hur, Lawrence d’Arabia o 2001: Odissea nello spazio siano state girate in 70mm.
Ancora oggi, tuttavia, il problema del 70mm sta nei costi di produzione, elevatissimi, e nel maggiore ingombro delle mdp; una soluzione, dunque, per pochi grandi registi hollywoodiani, che hanno alle spalle produzioni faraoniche.
Oggi però lo scenario potrebbe cambiare radicalmente, grazie a nuova macchina da presa sviluppata da Sony. È stata battezzata Venice – nome che rimanda a due grandi città legate al cinema, ovvero Los Angeles (il riferimento è a Venice Beach) e Venezia – ed è dotata di sensore full-frame 6K che a detta della casa sarà in grado di eguagliare le caratteristiche della pellicola 70mm, aggiungendo tutti i vantaggi del digitale in termini di versatilità, maneggevolezza e costi di gestione meno proibitivi.
Sony CineAlta Venice sarà disponibile a febbraio 2018, ma noi di Tutto Digitale abbiamo avuto l’occasione di prenderla in mano in due occasioni: la presentazione per la stampa di Londra (vedi TD n. 115) e l’IBC di Amsterdam. Ecco le nostre prime impressioni.
Un sensore, tanti formati
L’esemplare che abbiamo potuto osservare da vicino ed utilizzare per un po’ era un prototipo non ancora definitivo, capace per il momento di lavorare solo in 4K. Per tale ragione le nostre valutazioni si concentreranno principalmente sull’ergonomia e le opzioni della macchina, anche se le potenzialità di Venice si possono già intuire con i primi due corti presentati da Sony (visibili su Youtube, ma non in 4K): The Departure, girato dall’inglese Ed Wild, e soprattutto The Dig, diretto da Joseph Kosinski con il DoP premio Oscar Claudio Miranda.
Prima però di condividere le nostre considerazioni su questa macchina, vale la pena soffermarsi su alcune caratteristiche. Come accennato, cuore di CineAlta Venice è il nuovo sensore, un CMOS full-frame 36x24mm che permette di lavorare in formato 2.39:1 a 6048×2534 pixel di risoluzione oppure in formato 1.85:1 a 6048×3270 pixel. Questo significa ottenere immagini ultra-wide mantenendo un livello del dettaglio eccezionale. In alternativa si possono scegliere formati panoramici in 4K con l’uso di lenti anamorfiche, a 4096×3024 o 4096×3432 di risoluzione. In altre parole Venice può gestire i formati cinematografici attualmente diffusi, 1.85:1, 2.39:1, 17:9, 16:9, 3:2 e via dicendo, anche se alcune di queste opzioni saranno disponibili solo nell’agosto 2018 con il primo aggiornamento del firmware. Altre scelte di risoluzione e di formato di ripresa, inoltre, saranno inibite e sarà necessario pagare una licenza ad hoc, per il periodo necessario alle riprese.
Le immagini 6K di risoluzione saranno registrate su unità esterna AXS-R7, la stessa usata dalle altre camere della gamma CineAlta, ma nel nuovo formato X-OCN a 16 bit, un codec RAW più leggero di quello adottato dalla Sony F55, capace di risparmiare il 60% di spazio su disco, senza compromettere in alcun modo la qualità d’immagine. L’aggiornamento firmware previsto dovrebbe aggiungere anche la registrazione in Apple ProRes, per avere una copia simultanea a bassa risoluzione del girato e facilitare la fase di editing prima della finalizzazione a qualità piena.
È anche possibile girare in 4K in XAVC Class480, il massimo bitrate disponibile per un codec H.264.
Altro vantaggio importante del nuovo sensore è nella taglia, pari ad oltre il doppio rispetto a un normale CMOS Super35, che permette di fatto – a parità di diaframma – di ottenere una profondità di campo più stretta di 1 o 2 stop. Solitamente a un sensore più grande corrispondono anche prestazioni migliori alle basse luci; in questo caso tuttavia la sensibilità nativa è di 500 ISO, contro gli 800 della maggior parte delle macchine da presa per il cinema e i 1250 ISO della Sony F55. Evidentemente, visto il maggiore numero di pixel rispetto a quello dei sensori 4K, Sony ha preferito tenere il livello di rumore più basso possibile e ottenere una gamma dinamica più estesa sui toni scuri che sulle alte luci. Questo non vuol dire comunque che Venice non possa lavorare ad alti ISO, né che sia meno sensibile di altre macchine da presa 4K. Chi usa camere di questo livello non ha certo problemi ad illuminare un set in modo adeguato e difficilmente lavorerà di notte con luce naturale. Ridurre al minimo il rischio di immagini rumorose è invece un’esigenza prioritaria per ogni produzione ad alto budget.
Il sensore sviluppato da Sony è inoltre immune all’effetto jello (la distorsione geometrica che compare con i movimenti rapidi di macchina), grazie a un sistema di lettura più veloce del classico rolling shutter. Altri punti di forza del nuovo CMOS sono la gamma dinamica, oltre 15 stop, e uno spazio colore che supera le specifiche dello standard Rec. 2020, per una resa cromatica fedele in ogni sfumatura.
Progettata per durare Altra caratteristica veramente inedita della sezione elettronica di Venice è la possibilità di smontare il CMOS dal corpo macchina, un’opzione che non solo semplifica le operazioni di manutenzione, ma predispone all’uso di altri sensori che Sony potrà sviluppare in futuro (magari con sensori per applicazioni specifiche, come la ripresa ad alta velocità).
Ci si potrebbe chiedere perché Sony non abbia sviluppato un sensore 8K. Gli ingegneri, probabilmente, hanno preferito non esagerare con la risoluzione e privilegiare la grandezza dei singoli foto-diodi, per ottenere una qualità d’immagine più pulita possibile.
La nuova CineAlta può montare ottiche cinematografiche con innesto PL, con piena compatibilità con il sistema di metadati Cooke/I, ma, smontando l’attacco, PL si scopre un bocchettone E-mount, per lavorare con gli obiettivi fotografici Sony, che garantiscono leggerezza, prestazioni elevate ed un prezzo molto interessante.
La macchina integra un sistema di filtri ND con 8 diversi livelli da intensità, per ridurre la luce ingresso da 1 a 8 stop. Tale soluzione permette di girare a diaframmi aperti anche in condizioni di forte illuminazione, senza perdere tempo con l’installazione di matte-box e filtri aggiuntivi. Il filtro ND può anche essere regolato da remoto, aiutando l’operatore a controllare l’esposizione anche quando la macchina è montata su un braccio o su un altro supporto difficile da raggiungere.
Nonostante Venice rappresenti di fatto il modello di punta CineAlta, il corpo macchina appare più compatto della F65 (e persino il prezzo è più basso), più corto della stessa F55, anche se un po’ più alto, con un peso inferiore ai 4 Kg. Disposizione dei pulsanti e design del menu operativo sono stati riprogettati rispetto ai precedenti modelli CineAlta. Per 5 anni, gli ingegneri Sony hanno lavorato fianco a fianco con alcuni operatori e direttori della fotografia di Hollywood, ascoltando le loro esigenze e anche le loro critiche nei confronti delle vecchie macchine CineAlta. Ma soprattutto si è cercato di venire incontro alle richieste delle società di noleggio di attrezzature cinematografiche, che rappresentano i principali acquirenti di macchine di questo livello. La necessità dei service, ovviamente è quella di ridurre al minimo i tempi di manutenzione e far lavorare il più possibile il proprio parco macchine. Per semplificare la vita a chi ha l’onere di gestire e mettere a punto le macchine da presa, Sony ha dotato Venice di uno chassis estremamente robusto e un sistema di ventilazione completamente isolato dalla sezione elettronica, in modo da impedire che polvere, sabbia o umidità possano creare problemi ai componenti interni. Come il sensore, anche la ventola può essere smontata facilmente, persino in ambiente non asettico. Un’altra buona notizia riguarda poi la compatibilità con accessori CineAlta già in commercio, come il recorder RAW AXS-R7, le unità di controllo remoto, l’adattatore wireless CBKWA100, i viewfinder.
Riprese a quattro mani
Prendendo in spalla la Sony Venice e mettendo le mani sui vari comandi, si ha la sensazione di essere di fronte a una macchina intuitiva e facile da usare. Sia chiaro, la quantità di opzioni disponibili è molto ampia, ma il menu è costruito in modo da non mettere in soggezione l’operatore abituato a camcorder di fascia più bassa o di tipo broadcast. Se non fosse per la consapevolezza che presto la Venice potrebbe essere in mano a qualche premio Oscar, si potrebbe scambiare per una macchina da presa per il filmaker indipendente.
Allo stesso tempo, però, la Venice è progettata per il lavoro di squadra tipico delle produzioni di alto livello, in cui l’operatore è affiancato sul set da uno o più assistenti. Per facilitare la cooperazione tra più persone, Venice offre un doppio display di controllo, uno più piccolo di tipo OLED sul lato sinistro, destinato al primo operatore, dove sono riportati in modo sintetico i principali parametri di ripresa (diaframma, otturatore, filtro ND, ISO e bilanciamento del bianco); l’altro, più ampio sul lato destro, permette all’assistente di tenere d’occhio anche il frame rate, il Timecode, i minuti a disposizione sui diversi supporti di memoria, il formato di registrazione impostato e il profilo di gamma cromatica selezionato per le varie uscite. Ognuno di questi parametri può essere modificato con un pulsante rapido, mentre sempre sul lato destro sono disponibili i tasti per navigare nel menu e per rivedere le clip registrate.
Il lato sinistro ospita invece un minor numero di comandi, tra cui due programmabili, tre per modificare le impostazioni di ripresa insieme ai comandi Home e Clips. Molti controlli, dunque, si ripetono su entrambi i lati del corpo macchina, così come pure troviamo un doppio pulsante Rec sia a destra che a sinistra; si tratta di una scelta originale, che crediamo sarà molto apprezzata sul set e renderà più facile il lavoro di molti operatori.
Sul lato sinistro troviamo anche due slot per schede di memoria SxS, sulle quali è possibile registrare interamente in formato 4K XAVC e ProRes HD (con il prossimo aggiornamento firmware). Come anticipato, per la registrazione in RAW e in 6K è necessario agganciare il recorder esterno AXS-R7 sul retro del corpo. Sempre sul pannello posteriore, ecco le varie connessioni: 4 uscite SDI, HDMI, uscite di alimentazione a 12v e 24v, monitor out, viewfinder, Genlock, Timecode e controllo remoto. Da segnalare la disponibilità di un solo ingresso audio XLR.
Prestazioni da Oscar
Per quanto riguarda la resa, per ora dobbiamo fidarci di quanto osservato durante le demo proiettate su grande schermo in 4K HDR. I filmati The Dig e The Departure sono stati girati di proposito alternando scene in controluce (anche con il sole diretto in macchina) e sottoesposte, come l’abitacolo di un’auto in esterno notte o un ufficio illuminato a neon. In queste immagini, la Venice ha mostrato tutti i suoi 15 stop di gamma dinamica, conservando un livello eccezionale di dettagli sulle alte luci e soprattutto sui toni scuri, mantenendo un livello di rumore impercettibile e mostrando una grana simile a quella della pellicola.
La pasta, insomma, appare diversa rispetto a quella tipica delle macchine da presa che Sony ha prodotto fino ad oggi, sicuramente più vicina all’immaginario cinematografico.
In una postazione di post-produzione basata sul sistema DaVinci Resolve è stato poi possibile mettere a confronto il footage grezzo con quello lavorato dal colorist: qui abbiamo potuto constatare come il girato originale offra una resa dei colori estremamente naturale e come i file RAW generati dalla Venice richiedano un intervento minimo di grading, che si riduce all’aggiunta di una LUT e poche altre operazioni. Un’altra dimostrazione della validità del nuovo CMOS 24x36mm.
Tirando le somme, siamo di fronte a una camera che se non costituisce una vera e propria rivoluzione, certamente rappresenta un salto generazionale per il cinema digitale. Con il corpo ultra-compatto, il menu facile e intuitivo, il doppio pannello di controllo, il sistema modulare e aperto ad aggiornamenti sia software che hardware, Venice è una risposta concreta alle richieste di tanti professionisti del Cinema.
Il sensore full-frame migliora senza dubbio le prestazioni delle macchine di precedente generazione, non solo in termini di definizione, ma anche di gamma dinamica, di resa cromatica e di profondità di campo, ovvero i quattro elementi più importanti per chi fa cinema. Da ultimo, l’abbandono di una nomenclatura basata su sigle e numeri in favore di un nome evocativo come Venice manifesta l’impegno di Sony nel realizzare un prodotto innovativo, nato per ‘raccontare emozioni’…