Piccola, leggera, dotata di sensore Full Frame e capace di prestazioni mai viste prima in fatto di sensibilità: la Sony A7S, lanciata sul mercato poco più di un anno e mezzo fa, ha decisamente scombussolato il mercato del video creativo low budget, e ha costretto tutti gli attori in gioco, dai consumatori finali agli altri marchi attivi nel settore della ripresa con le fotocamere, a rivedere gerarchie e priorità.
In effetti, con la gamma di mirrorless A7, Sony ha colto nel segno, e in breve tempo ha visto le sue macchine diffondersi anche nel campo della fotografia professionale tout court: è sempre più frequente, infatti, scorgere durante un matrimonio, un reportage di un evento o una sessione in studio, una di queste Sony – dalla A6000 alla A7R II, con tutti i suoi 42 MP – al fianco degli immancabili corpi Nikon o Canon, segno evidente che l’evoluzione tecnologica, ancora una volta, si prepara a mischiare le carte di questo mercato.
Per certi versi, aver convinto un’ampia fetta di estimatori delle reflex a passare alle macchine senza specchio potrebbe essere un valido risultato su cui crogiolarsi, almeno per un po’. In Sony, invece, non la pensano così e dunque, dopo un periodo di tempo relativamente breve, ecco la seconda versione delle A7: dopo la prova della A7R II, sul numero 100 di Tutto Digitale, pubblichiamo il long term test foto & video (3 mesi) della A7S II, la regina della notte atto secondo, come scherzosamente l’abbiamo definita nel nostro titolo.
Solida e compatta
Prendendo in mano la fotocamera, la prima impressione che si ha è di assoluta solidità: la scocca in lega di magnesio e le linee spigolose dell’alloggiamento del mirino (là dove le reflex accoglievano il pentaspecchio) conferiscono un look deciso all’apparecchio, che non perde l’aspetto vagamente rétro del modello precedente. Diverse però le rivisitazioni sul tema: il corpo macchina è più spesso e questo consente di offrire all’utente una impugnatura più comoda ed una migliore manovrabilità. Non siamo ancora ai livelli delle reflex e chi ha mani grandi si troverà comunque stretto, ma di sicuro c’è un passo avanti rispetto al modello precedente. Nel complesso, la A7S II offre un gran numero di pulsanti personalizzabili, disposti in modo appropriato nei punti strategici della scocca. Sono nuove anche le due ghiere per tempi e diaframmi: il feeling a nostro avviso è meno esaltante di quello che abbiamo sperimentato sulle A7 di prima generazione, ma questo non comporta problemi nell’azione delle dita. La ghiera godronata per la selezione delle modalità di scatto è leggermente più alta di prima e dispone di un pulsante di blocco, per prevenire spostamenti indesiderati.
Lo scatto si trova in posizione più avanzata ed è facile da raggiungere, mentre il pulsante rec, purtroppo, è sempre là – sul lato dell’impugnatura – dove nessun videomaker sano di mente l’avrebbe messo. Anche se in Sony devono aver avuto sicuramente un buon motivo per scegliere quella collocazione, il buon senso ha fatto sì che su questo modello (come già sull’A7R II) la funzione rec possa essere assegnata anche ai pulsanti personalizzabili: ce ne sono ben due subito dietro il pulsante di scatto, ed è là che, come primissima operazione sulla macchina in prova dopo l’innesto dell’ottica Zeiss 24-70mm, abbiamo impostato l’avvio della registrazione.
La seconda operazione che abbiamo svolto è stata l’aggiornamento del firmware alla versione 1.10: la prima versione del software di bordo era infatti soggetta al problema dei buchi neri. Galassie, wormhole e teoria della relatività a parte, questo fenomeno comportava che, con alcuni profili di immagine, le aree sovraesposte (ad esempio, il sole o le fonti di luce artificiali) risultassero come un cerchio nero, anziché come una classica bruciatura bianca. Ad aggiornamento eseguito, abbiamo riscontrato il corretto funzionamento anche nelle circostanze precedentemente incriminate.
Scorrendo le novità della macchina, incontriamo il mirino ottico XGA Oled Tru-Finder, dotato di rivestimento Zeiss-T*: la lente davanti al pannello ingrandisce l’immagine e rende la lettura più agevole. Una conchiglia oculare rimovibile in dotazione – magari come quella del camcorder PMW-FS5, che abbiamo potuto provare per verificarne l’effettiva compatibilità – potrebbe essere uno dei desiderata per future versioni, almeno considerando l’uso che ne fanno i videomaker.
Per adesso ci accontentiamo di viewfinder&display LCD, con quest’ultimo orientabile solo su un asse, così come sul modello precedente. La coppia è collegata al sensore di prossimità, che si occupa di accendere uno e spegnere l’altro all’avvicinarsi dell’occhio dell’operatore al mirino. Se si lascia questa impostazione automatica, non sarà raro spegnere accidentalmente il monitor, visto che il sensore legge la prossimità di qualunque superficie. Per ovviare al problema, si può impostare lo switch manuale, magari assegnando il comando ad uno dei tasti personalizzati.
Una gradita conferma in termini di dotazione è la presenza della ghiera di compensazione dell’esposizione, mentre sul posteriore si trova lo stesso layout di comandi che abbiamo visto sul modello precedente: il selettore AF/MF/AEL con il tasto AF/MF, il pulsante Fn per richiamare le principali impostazioni di scatto (anche questo menu rapido è personalizzabile dall’utente), la rotella di controllo con quattro posizioni cliccabili e tasto centrale, i pulsanti di riproduzione e cancellazione, che in ripresa può essere personalizzato.
In totale i tasti personalizzabili sono 12, e dunque è possibile scegliere la disposizione dei comandi in base ai diversi gusti.
Sul lato destro c’è lo slot per le schede di memoria, che si trova nella medesima posizione ma ha un diverso orientamento: se prima la scheda andava inserita perpendicolarmente alla superficie posteriore dell’apparecchio, adesso la direzione di inserimento è parallela.
A sinistra sono posizionati i connettori per cuffie, microfono, presa USB ed HDMI di tipo D. Diversamente dal modello precedente, le prese sono ora affiancate in due coppie; questo comporterà qualche grattacapo ai possessori di cage o di accessori di fissaggio, che dovranno essere riadattati o addirittura sostituiti. Il cambio di posizione si è reso necessario per implementare un nuovo accessorio di fissaggio dell’HDMI, importante per chi usa un recorder esterno o semplicemente un monitor: il risultato è buono, visto che il dispositivo (fornito di serie) assolve allo scopo molto meglio di prima.
In sostanza, il corpo dell’A7S II è lo stesso della A7R II, che è l’altra ammiraglia della gamma di mirrorless Sony (che, ricordiamo, comprende anche la A7II, con stabilizzatore a 5 assi): le due lettere, R per risoluzione ed S per sensibilità, sono di fatto una dichiarazione di intenti che permette di riconoscere immediatamente la vocazione di ciascun apparecchio.
Bella di notte
Il cuore della A7S II è dunque lo stesso sensore a pieno formato CMOS Exmor da 12.2 MP effettivi che era montato sulla Mark I: se paragonati ai 42 MP dell’Exmor R dell’A7R II i 12,2 MP sembrano poca cosa, ed invece – less is more – sono il motivo principale del successo della macchina in prima, e probabilmente anche in questa seconda versione. Un numero basso di fotodiodi sul sensore vuol dire infatti maggiore superficie di assorbimento della luce e dunque maggiore sensibilità e possibilità di amplificare il segnale fino ad alti valori ISO, conservando una buona pulizia di immagine. Il concetto di “buona pulizia” è ovviamente soggettivo e legato al tipo di lavoro che si deve affrontare, e dunque le considerazioni che seguono vanno interpretate alla luce di questa variabilità di parametri. Ciò nonostante, possiamo affermare ancora una volta che le prestazioni in fatto di sensibilità di questa camera sono ai vertici della sua categoria, e per certi aspetti danno filo da torcere anche a modelli più costosi. I risultati ad ISO crescenti sono molto incoraggianti: fino a 25.600 ISO non abbiamo disturbi evidenti, e perfino a 51.200 ISO il rumore si mantiene entro livelli accettabili per una larga fetta di impieghi. Salendo ancora, ovviamente, le immagini si deteriorano un po’, ma almeno fino a 102.400 ISO possono tranquillamente essere impiegate senza troppi patemi d’animo se si sta lavorando sulla cronaca.
Questa incredibile sensibilità (girare a centomila ISO… ce lo avessero detto tre anni fa, avremmo riso) è persino troppa: in un contesto di notte urbana, abbiamo dovuto compensare la sovraesposizione chiudendo il diaframma e diminuendo il tempo di esposizione, il che sarebbe quasi una follia. D’altra parte se è possibile alzare gli ISO e chiudere un po’ il diaframma, di sicuro avremo una profondità di campo più ampia, per agevolare la messa a fuoco, e potremo sfruttare al meglio le performance di nitidezza degli obiettivi, che di solito tendono ad ammorbidirsi a tutta apertura. Rispetto alla A7S, sulla A7S II abbiamo potuto notare un miglior risultato proprio sui valori ISO elevati, tra i 25.600 e i 102.400, ma la novità è che tutte queste considerazioni e prove anche a confronto sono state realizzate con l’A7S II in registrazione 4K, o meglio UHD (3840×2160) interna, e questa è la principale novità: l’A7S prima serie aveva invece bisogno di un registratore esterno collegato all’uscita HDMI per produrre riprese a risoluzione elevata. Questa opzione resta valida anche per la Mark II, con tutti i suoi vantaggi e scomodità: dall’HDMI infatti passa un segnale 4:2:2 ad 8 bit senza codifica in XAVC S, a differenza di quello interno che è appunto compresso 4:2:0 e poi codificato in long gop fino a 100 Mbps di banda. Di contro, lavorare con un secondo dispositivo collegato può costituire una piccola difficoltà operativa (e un costo) in più. Insomma, con l’A7S II ciascuno può decidere se e quando girare con un recorder esterno, oppure affidarsi alla registrazione entrobordo. Per quest’ultima servono schede SDXC veloci, minimo di classe U3 e da almeno 64 GB, sui quali entreranno 75 minuti di ripresa UHD. Questo può essere registrato in XAVC S 4K a 100 o a 60 Mbps, mentre per il Full HD sono disponibili diverse opzioni, a partire dallo stesso XAVC S a 50Mbps, con frequenze 25 o 50p in PAL o a 23.98, 29.97 e 59.94p in NTSC. L’apparecchio può inoltre registrare in AVCHD fino a 28 Mbps, con scansione interlacciata e progressiva, e direttamente su file MP4. La macchina consente inoltre la doppia registrazione, per ottenere istantaneamente una versione del girato più leggera (720p e circa 3 Mbps): si tratta di un’opzione quanto mai utile se si lavora in 4K e si devono inviare preview via internet, magari per l’approvazione del cliente o forse per farsi belli con i propri amici e non solo, pubblicandole sui propri canali social. In questo secondo caso si raccomanda la massima attenzione alla qualità di quello che si posta… Battute a parte, l’opzione della doppia registrazione non è disponibile con frame rate di 50p o superiori o se si sta lavorando già in MP4.
Il 4K interno non è però l’unica novità rilevante dell’apparecchio, che offre infatti la possibilità di registrare immagini in slow motion fino a 120 fps in Full HD.
Ralenty ad alta velocità
Ormai praticamente tutte le macchine in commercio possono girare a 50/60p, e questo consente di ottenere dei ralenti moderati, conformando il girato a 25p in postproduzione: per molti usi già questo slow motion 2x può funzionare bene. Tuttavia, se si vuole inseguire l’estetica contemporanea, ed aggiungere un pizzico di enfasi spettacolare alle immagini, la ripresa a frame rate più elevati è un’opportunità molto importante. Se si sale a 100/120 fps, i ralenti sono di sicuro impatto: l’A7S II dunque ha una freccia in più per il videomaker creativo. Anche la versione Mark I dell’A7S poteva girare a 120 fps, ma solo in 720p: la Mark II, invece, questo limite di risoluzione è stato superato, anche se l’utente dovrà fare i conti con il crop automatico del sensore, che di fatto allunga la focale degli obiettivi di poco più di due volte. Questo compromesso serve per adeguare la quantità di dati da processare (quasi 5 volte superiore al 25p) alle capacità di elaborazione del processore integrato Bionz X. Dunque riprendendo in slow motion, tutte le focali degli obiettivi montati risulteranno moltiplicate per 2,2x.
In pratica, l’utente ha due modalità per ottenere i ralenti: innanzitutto per arrivare a 120 fps è necessario impostare la macchina sulle frequenze NTSC, con l’accortezza di cambiare scheda (eventuali file ripresi in PAL non possono coesistere con quelli in NTSC sulla stessa card). In alternativa bisognerà accontentarsi dei 100 frame al secondo, che non sono certo pochi. Il primo modo per ottenere i ralenti è girare a 100/120 fps (con scelta anche qui tra i 60 e i 100 Mbps) e poi conformare le clip a 25 frame al secondo nel software di montaggio. L’A7S II può però girare clip rallentate direttamente in camera: per fare questo è necessario aprire il menu dei modi di scatto, accessibile anche con il tasto Fn di scelta rapida, e scegliere la modalità di esposizione HFR voluta, scegliendo tra P, S, A ed M. Così facendo i filmati saranno registrati in XAVC S HD a 25p con bitrate di 16 Mbps e saranno privi di audio. La durata massima di queste registrazioni è di circa 7 minuti, un valore molto più alto di quello che in passato avevamo potuto sperimentare su macchine come la FS700 o sulla più economica e recente RX10 MarkII.
I risultati sono molto validi, privi di particolari artefatti o di elaborazioni strane dei segnali, che a volte su altri apparecchi si possono tradurre in immagini poco nitide, a risoluzione inferiore, palesemente gonfiate in Full HD. Utilizzando le riprese a 120 fps è bene non esagerare con gli ISO, visto che in questa impostazione la macchina non può garantire gli stessi livelli di pulizia ad ISO elevati che invece assicura a velocità normali di ripresa. Altre controindicazioni circa la ripresa ad alta frequenza sono legate al crop del sensore (niente grandangoli spinti…), alla velocità dell’otturatore – che, lo ricordiamo, deve essere almeno il doppio della frequenza di registrazione – e alla durata dei materiali così ottenuti: se infatti si riprende un minuto a 120 fps, si dovranno poi guardare quasi cinque minuti di girato rallentato. E il tempo, come dice il Saggio, è denaro.
4K, quanta bellezza!
Opzioni creative a parte, come sono le immagini realizzate con la A7S II? Confessiamo che le aspettative nei riguardi delle prestazioni della macchina erano davvero alte, un po’ per l’esperienza maturata con la prima versione, e perché stiamo parlando di una fotocamera top di gamma, che costa più di 3.000 euro, piena di tecnologia di ultima generazione e forte di una grande esperienza in fatto di ingegnerizzazione ed implementazione del software.
Dobbiamo dire che le attese non sono state deluse: in UHD la macchina ha una resa pulitissima, con la possibilità di alzare gli ISO impunemente come abbiamo detto prima. Il livello di dettaglio è molto alto e la possibilità di scegliere un picture profile e di poterlo personalizzare a piacimento apre ad una completa ricerca delle impostazioni migliori per il gusto di ciascuno. Con le impostazioni di fabbrica non abbiamo avuto difficoltà ad ottenere immagini molto belle. La gestione dei file 4K non rappresenta un problema se si dispone di un computer attrezzato per l’editing video e abbastanza aggiornato: durante i nostri test abbiamo ad esempio utilizzato un portatile MacBook Pro Retina da 15″ del 2014 e siamo riusciti a montare senza particolari problemi con la suite di Adobe. Se si vuole spingere al massimo la color, però, sarà bene disporre di una macchina più potente oppure cedere al compromesso di impostare le risoluzioni di riproduzione su 1/4 o 1/8.
Passando alle riprese in Full HD, ci siamo trovati sostanzialmente sul livello della A7S, anche se abbiamo riscontrato una maggiore pulizia dell’immagine operando con sensore croppato in Super35mm: questa opzione non è disponibile in 4K, visto che la risoluzione dell’area centrale non sarebbe sufficiente a comporre un’immagine da 3840×2160 pixel.
L’A7S II offre dunque prestazioni di livello elevato, come si conviene ad un apparecchio di costo non propriamente popolare. Grazie alla risoluzione del sensore, comunque maggiore di quanto necessario per realizzare un’immagine UHD, la macchina può inoltre offrire uno zoom digitale a bassissima interferenza con la qualità di immagine, lo zoom clear image. Questo sistema produce ottimi risultati se si sta lavorando in UHD, mentre introduce un minimo di artefatti quando si opera in Full HD.
In molti tra gli early adopters hanno lamentato poi un eccessivo riscaldamento dell’apparecchio durante la registrazione in UHD. Abbiamo dunque eseguito vari test di registrazione di lunga durata, riavviando la macchina ad ogni interruzione dovuta al limite dei 29 minuti e 50 secondi, fino all’esaurimento di un accumulatore intero, senza mai incorrere nel blocco per surriscaldamento. Di certo questi test sono stati influenzati dalla temperatura ambientale della stagione in cui si è svolta la prova (autunno inoltrato e inverno, all’aperto e al chiuso), e dunque non possiamo escludere che d’estate l’apparecchio possa andare in protezione da temperatura: c’è da dire, però, che dopo il lancio delle prime fotocamere a specchio fisso – circa cinque anni fa, che andavano di frequente in blocco – l’azienda ha lavorato molto seriamente sulla dissipazione del calore interno agli apparecchi, arrivando a risultati ottimi, che i nostri test non hanno trovato motivo di contestare.
Come accennato, la A7S II offre molti profili di immagine, per creare un look personalizzato già in macchina o, viceversa, per ottimizzare la gamma dinamica dell’apparecchio, grazie alle curve del gamma logaritmiche. Oltre all’S-Log2, già presente sulla prima versione, la fotocamera è ora dotata di S-Log3, altra curva che estende ancora di più la latitudine di posa fino ai 14 stop dichiarati dall’azienda. Entrambe le curve logaritmiche impongono un valore ISO minimo di 1600, che è meno del 3200 dell’A7S Mark I, ma è comunque troppo per lavorare in pieno giorno senza essere costretti ad installare un ND sull’obiettivo.
L’S-Log3 è meno compresso nelle basse luci rispetto all’S-Log2, per cui è necessario prestare la massima attenzione a come si espone, in funzione delle operazioni che si prevede di affrontare in color grading: ad esempio, se l’intenzione è di lasciare i neri non troppo chiusi, sarà bene sovraesporre l’immagine portando al limite le alte luci, potendo confidare sulla tenuta della macchina. Infatti, per ottimizzare la lettura nelle basse luci, l’S-Log3 lascia intravedere un po’ di rumore, che negli altri profili risulta invece mascherato dal normale contrasto dell’immagine. Conoscere già il risultato che si vuole ottenere aiuterà il videomaker a scegliere correttamente il profilo da utilizzare: oltre alle due varianti di S-Log, infatti, la camera offre diverse altre impostazioni personalizzabili in gamma e matrice colore, oltre che in dettaglio e in moltissimi altri parametri.
Lavorare in S-Log richiede dunque delle attenzioni in più, con una particolare cura al lato fotografico delle inquadrature. Le immagini infatti appaiono slavate e prive di contrasto, e dunque anche operazioni semplici, come la verifica del corretto bilanciamento del bianco o della messa a fuoco, risultano più complesse. Per agevolare l’utente, la macchina offre il view assist, ovvero consente di visualizzare un’anteprima in ITU709 mentre si registra in logaritmico. Le altre assistenze a disposizione sono lo zebra a livelli personalizzabili, l’istogramma sempre attivo, il peaking e l’ingrandimento dell’inquadratura per controllare la messa a fuoco.
Tra le altre novità di rilievo della macchina, segnaliamo la presenza dello stabilizzatore ottico a cinque assi SteadyShot, integrato nel corpo camera e dunque utilizzabile anche con ottiche di terze parti o non stabilizzate. Per l’uso di obiettivi di altri costruttori, il sistema prevede una modalità di impostazione diretta della lunghezza focale, in modo da ottimizzare la compensazione del movimento anche in assenza di diretta comunicazione con l’obiettivo.
Di nuovo c’è anche il sistema di autofocus, che in video si rivela più efficace del suo predecessore, consentendo un’impiego proficuo, ad esempio in quelle situazioni in cui non sia possibile agire sulla ghiera dell’obiettivo (slider, gimbal etc).
Il sistema è basato su 25 punti con rilevamento di contrasto, più 9 punti centrali, ciascuno diviso in 16 segmenti. Non siamo in presenza di un fulmine di guerra – come, ad esempio, il sistema montato sulla A7R II – ma in ogni caso anche in fotografia la macchina è rapida quanto basta nella maggior parte delle situazioni.
Audio professionale
Insieme all’A7S II e all’obiettivo Zeiss Vario-Tessar FE 4/24-70 stabilizzato, abbiamo potuto provare uno degli accessori più interessanti per i videomaker tra quelli targati Sony, ovvero il kit XLR-K2M: questo dispositivo si installa sulla slitta flash intelligente della macchina ed aggiunge due ingressi audio XLR ed il supporto ammortizzato per un mezzofucile. In dotazione c’è il microfono l’ECM-XM1, corredato dal suo antivento in pelo. La qualità audio del microfono in dotazione con il modulo è ovviamente incomparabile con quella del microfono incorporato, ed inoltre in questo modo si possono installare due microfoni sui due canali distinti, al prezzo però di un’ulteriore riduzione dell’autonomia di ogni accumulatore: durante i nostri test con il modulo XLR installato e l’alimentazione phantom attiva, la durata effettiva della batteria è andata tra i 50 e i 55 minuti in ripresa continua. Del resto se serve più di un canale audio l’alternativa a questo accessorio, dal prezzo di listino di circa 600 euro microfono incluso, è quella di usare un registratore audio esterno. Il dispositivo offre anche tutti i controlli dei canali audio che si possono trovare di solito sulle videocamere, come i potenziometri per i livelli dei canali e i selettori per il low cut e l’attenuatore, applicabili in modo indipendente su canale 1 e canale 2.
Senza l’accessorio per l’audio, la batteria dura di più, anche se è tutt’ora uno dei talloni d’achille del sistema A7, in particolare per il video. Perché Sony non ha affrontato con successo questo aspetto, già noto con la precedente generazione di camere? Probabilmente perché a questo problema non c’è soluzione: se si cerca un corpo compatto è infatti molto difficile potervi inserire una batteria rimovibile ad alta capacità. Le uniche strade percorribili restano il possesso di un ingente numero di accumulatori, il vertical grip o l’uso di soluzioni di alimentazioni specifiche. La macchina offre un’ulteriore via, che è quella dell’alimentazione a rete attraverso un accessorio opzionale, oppure – novità – attraverso la porta USB con un adattatore fornito in dotazione. Si tratta di soluzioni di compromesso, certo, ma del resto il prodotto perfetto non esiste: viste le prestazioni e la portabilità dell’A7S II, siamo certi che un gran numero di utenti saprà accettare questa piccola scomodità.
La macchina dispone infine delle connettività NFC o wifi integrate, e può essere ulteriormente arricchita con le applicazione Play Memories, tra cui l’immancabile app per il timelapse, dal costo di pochi euro. Sinceramente, visto il costo non proprio popolare della macchina, ci saremmo aspettati di trovare quest’app inclusa in dotazione, dato che il timelapse è ormai pane quotidiano del lavoro del videomaker.
Photo no problem
A forza di parlare delle varie possibilità per la ripresa video, quasi trascuravamo le caratteristiche fotografiche della A7S II, che è sì la macchina del momento per i videomaker, ma sostanzialmente è pur sempre una fotocamera… Dunque, cosa c’è da dire a questo proposito?
Senza entrare in dettaglio sulle varie caratteristiche – che, come si può immaginare, sono quelle che ci si aspetta da una reflex, pardon una mirrorless, top class – proviamo a sintetizzare le impressioni ricevute per quello che riguarda l’uso ‘photo’ vero e proprio.
La prima impressione è scontata: alla vista, ed anche in mano, la macchina appare in tutto e per tutto come una reflex, ma è decisamente più compatta e leggera: davvero un bijoux… Montando lo zoom 24-70 mm in qualche modo si ristabilisce l’equilibrio, ovvero il tutto non è poi così tascabile, ma l’impressione è quella di disporre di una macchina potente e non troppo ‘pesante’. Resta il dubbio – come in altre fotocamere Sony di vario livello, come le compatte RX100 e RX10 provate in passato – di una certa qual fragilità esteriore, per la tendenza al ‘consumo’ di alcuni punti della carrozzeria, ma magari si è trattato solo di sfortunate coincidenze…
In quanto alla sostanza del tutto, diciamo che a livello ergonomico non ci sono rivoluzioni rispetto alla gran parte delle macchine, ma diverse piccole differenze di ‘logica’; se chiunque è in grado di scattare immagini senza aver mai visto la macchina, per poter sfruttare ogni risorsa disponibile ed ottenere il massimo dei risultati sono necessarie un’approfondita lettura del manuale prima dell’uso (operazione, del resto, consigliabile per qualsiasi macchina) e un minimo di pratica con i comandi.
Dal nostro punto di visita, massimo dei voti e lode per la manopola per la compensazione dell’esposizione (+/- 3 stop), della giusta durezza e nella posizione ideale, all’estrema destra superiore. Apprezzabili anche la velocità di reazione dell’autofocus, la possibilità di silenziare completamente il funzionamento anche durante lo scatto, la praticità della funzione panorama. Un po’ meno entusiastici i commenti relativi alle modalità di opzioni scena e del (bel) monitor, che avremmo preferito ancora più orientabile di quanto possibile.
In compenso, l’autonomia dell’accumulatore – certamente limitata per utilizzazione di un minimo impegno in caso di riprese video – è adeguata alla situazione fotografica.
E veniamo alla resa delle fotografie. La prima considerazione da fare è che il sensore da 12,2 MP, teoricamente, offre una risoluzione inferiore a quella di diverse compatte moderne. L’immagine ingrandita, però, appare di eccellente qualità, anche in assenza di definizione record, per la qualità dell’accoppiata sensore Full Frame/ ottica, che certamente è di livello superiore alla media delle macchine di simile tipologia (e infinitamente più elevato di quello delle compatte…).
A proposito di ottica, non è difficile asserire che un 24-70 possa essere utile in tutte le situazioni; la luminosità (F/4) non è da record, ma è costante su tutta l’escurisone, come è giusto che sia in obiettivi di un certo livello.
Tali qualità, e il buon accoppiamento sensore/ottica, emergono in maniera più evidente con il crescere degli ISO; se con la maggior parte delle macchine superare i 200 ISO fa spesso venire qualche pensiero (come andrà questa macchina a 400, 800 eccetera?), con questa A7S II non ci accorge di aver lasciato l’impostazione, per sbaglio, magari a valori corrispondenti a 800 o 1600 ISO…
Da segnalare ancora che, dal punto di vista cromatico, la resa appare equilibrata in ogni occasione, e che, non mancando ovviamente l’opzione RAW (ARW, nel formato Sony) non ci sono di fatto limiti alla post produzione.
Qualche esempio dei risultati ottenibili con la Sony A7S II sono pubblicati in queste pagine, anche se, al solito, bisogna ricordare che la resa tipografica altera la qualità effettiva.
Fotovideo maker o videofoto maker?
Dopo tre mesi di intenso uso della Sony A7S II nelle situazioni più diverse possiamo trarre le conclusioni con una ragionevole possibilità di averne colto l’anima. Non c’è bisogno di lunghi test, in realtà, per capire che sotto la scocca c’è tanta tecnologia per le foto e il video, due aspetti ben impressi nel DNA dell’apparecchio.
Chi non ricerca una definizione record per le foto troverà una macchina eccellente in ogni occasione. Nell’uso video – dal 4K allo slow motion, passando per la sensibilità esagerata, la A7S II conferma le ottime qualità della camera che l’ha preceduta, per certi aspetti migliorando un quadro già molto, molto interessante e candidandosi ad un posto di primissimo piano nel mercato delle produzioni low budget e non solo.
Il tutto, ad un prezzo in realtà non così popolare come forse speravano i fotovideomaker… o i videofotomaker?