Questo è il titolo di un film di 40 anni fa, una parola che sembra uno scherzo, ma ha un significato importante: nel linguaggio dei nativi americani hopi, infatti, Koyaanisqatsi significa “vita folle; vita in tumulto; vita squilibrata; vita in disintegrazione; condizione che richiede un altro stile di vita”. Mmmmmmmmmmm…
Un gentile lettore di Padova, fotografo e videomaker, nel dichiarare di essere cresciuto a pane e Tutto Digitale, mi ha mandato una serie di riflessioni sul nostro settore che certamente costituiscono altrettanti spunti per approfondimenti da sviluppare e pubblicare nei prossimi numeri. Prima dei saluti, si scusa per una domanda – in realtà non capisco perché se ne scusi – sulla ragione che porta il sottoscritto a scegliere un tema per gli editoriali, dato che ritiene il processo mentale che porta a scrivere un articolo del genere simile a quello che fa realizzare un corto a un videomaker.
Per iniziare, credo che qualsiasi processo creativo, anche realizzare una pizza particolare, passi attraverso il suo creatore, o meglio attraverso la sua sensibilità, esperienza, curiosità, voglia di scoprire i propri limiti e quelli della materia a cui si è interessati, e la volontà e capacità di trasmettere ad altri quanto creato.
In generale, ad un content creator (oggi si chiama così chi fotografa, riprende, crea qualcosa tout court) che aspira ad una crescita, penso sia giusto consigliare innanzitutto la teoria, lo studio della materia, con continui approfondimenti ed aggiornamenti, e naturalmente, non troppo distante nel tempo dalla prima, la pratica. Questa è indispensabile per vivacizzare l’apprendimento teorico, far scoprire i risultati reali di quanto si studia, capire le proprie potenzialità (e, spesso anche comprendere quale specialità o ruolo professionale è più vicino ai propri interessi).
Fra parentesi, proporre la pratica senza la teoria, come fanno alcuni sedicenti esperti che insegnano tecniche specifiche ed effetti particolari senza parlare delle basi, non trova il nostro consenso, perché gli strumenti e saperli usare (o far usare correttamente ad altri, nel caso di alcune professioni del cinema) sono importanti, come conoscere qualche trucchetto, ma per la riuscita di un’opera è fondamentale in primis l’idea, la storia, la sua anima, e poi saperla trasferire in film. Magari anche utilizzando al meglio un momento in SloMo o altro, ma di certo sapendo come realizzare le inquadrature di base, come rendere la luce un elemento narrativo, e tutto quanto necessario a realizzare un “film” e non un “effetto speciale”.
Sensibilità, esperienza, curiosità
Come accennato, l’idea, la storia, lo sviluppo, di un’immagine, un video, o un’opera cinematografica, certamente dipendono da sensibilità, esperienza, curiosità, voglia di scoprire i propri limiti e quelli della materia di cui ci si interessa, del suo artefice. A ben vedere, sensibilità ed esperienza derivano direttamente dalla curiosità personale: che va alimentata semplicemente “vivendo”. Bisogna cercare di leggere tanti libri di qualsiasi genere, ascoltare musica, vedere film (al cinema…), frequentare mostre estemporanee e musei, prendere appunti, scattare foto per documentazione per approfondire, anche vedere la TV (magari scegliendo bene i programmi…).
E, soprattutto, bisogna muoversi per la propria città ed altrove, frequentare persone, parlare, con il giornalaio, il benzinaio, il vicino di fila, il commesso del negozio… e prendere l’autobus (occhio ai borseggiatori), tutto, con gli occhi spalancati, le orecchie ben aperte e molta concentrazione: da una piccola cosa, da una scintilla trascurabile, può nascere una grande opera, se si riescono a cogliere i segnali che ci circondano.
Per rispondere alla domanda del lettore, per l’editoriale in realtà non ho piani precisi. Leggo, ascolto, guardo, vivo, e ogni tanto mi si accende una lampadina su qualcosa che attira la mia attenzione; generalmente, mi colpiscono le “storie incredibili”, situazioni che a me paiono davvero fuori da ogni logica: in quel momento inizio a pensare, a “scrivere” nella mia mente qualche frase, finché l’articolo è (quasi) pronto. Appena possibile inizio a scriverlo davvero, e poi è idoneo per la pubblicazione.
Visto però che Tutto Digitale è bimestrale, e di editoriali ce ne sono dunque solo sei l’anno, capita spesso di scriverne più di uno in base a stimoli successivi, o magari a situazioni di attualità.
Il risultato è che possiedo ormai una raccolta privata di editoriali scritti nel tempo e non pubblicati, come del resto di libri inediti (questi ultimi scritti d’estate, dato che sole, sabbia e mare presto mi stufano), ma non pensate a uno stakanovista: semplicemente, scrivere mi rilassa, mi fa star bene, tutto qui (e pensare che alle medie andavo a ripetizioni di italiano…)
Dunque, stavolta mi era venuta voglia di dedicare questo spazio ad una storia incredibile, dal mio punto di vista, ovvero – in un momento in cui la situazione mondiale impone qualche riflessione – quello che mi appare come eccessivo interesse per prodotti “esagerati” in vendita per gli animali domestici (ormai, addirittura in farmacia!): ad esempio, mi sembra un po’ fuori posto vedere quanto il mangime per cani e gatti, oggi, sia accompagnato dalle parole “super food”, “forma fisica”, addirittura “gourmet”… (amo gli animali, beninteso: ho iniziato a fare fotografie da ragazzo principalmente per immortalare il mio cane, e la prima foto in assoluto della mia vita l’ho scattata a un gatto).
Poi ho pensato che il tema sarebbe stato troppo lontano da quelli trattati su queste pagine (anche se di voli pindarici, nel tempo, me ne sono permessi più di uno) e ho desistito, decidendo – in attesa di avere l’ispirazione giusta – di effettuare un’altra operazione che mi rilassa: la pulizia di una delle librerie che ospitano (parte dei) libri e dischi raccolti in una vita. Una spolveratina al ripiano, una al contenitore, e poi apro il jewel case del CD o l’amaray o altro di DVD o BD, verifico che la scritta sul disco sia orizzontale (sì, è vero, sono esagerato), a volte riesamino il booklet. In quel momento, con ogni disco, con ogni libro, scatta la scintilla. In tempo reale, e a velocità supersonica, mi ricordo ove ho acquistato l’oggetto o chi me lo ha regalato, mi rammento il suo contenuto, penso al contesto in cui l’ho vissuto intimamente, se così si può dire, e alle emozioni che mi ha fornito. Parafrasando Rod Steward e l’album (e brano) Every Picture Tells a Story, per me Every Item Tells a Story (Ogni oggetto, ogni cosa, racconta una storia).
Cosa sto sistemando ora? Qualcosa che ha cambiato la mia vita (come qualsiasi altra cosa – o persona, naturalmente – dotato di una sua valenza relativa o assoluta, con cui sia entrato in contatto): il Blu-ray Disc di Koyaanisqatsi. Un film sui generis, che da poco ha festeggiato i quarant’anni d’età, degno di nota già nel titolo: Koyaanisqatsi nel linguaggio dei nativi americani hopi significa “vita folle; vita in tumulto; vita squilibrata; vita in disintegrazione; condizione che richiede un altro stile di vita”.
Ricordo benissimo la visione del film al cinema (per la cronaca, l’Ariston a via Cicerone che oggi è diventato parte del multisala Adriano) di questo film/documentario che voleva offrire una testimonianza concreta di quanto la vita dell’epoca fosse – appunto – folle, squilibrata, in disintegrazione… (siamo nei primi anni ’80, ricordiamo… oggi siamo addirittura “oltre”!). A suffragio della tesi, un’ora e mezza di visioni del mondo fra slow motion e time lapse, senza dialoghi, accompagnate da una musica che non poteva essere più appropriata, scritta da uno dei massimi compositori contemporanei (Philip Glass).
Da allora ho rivisto Koyaanisqatsi a casa – DVD prima e BD dopo – infinite volte, e seguito con molta più attenzione le opere di Glass, oltre a vedere gli altri due titoli del regista Goffrei Reggio che fanno parte della trilogia di Quatsi.
Slow down
Dunque, il messaggio di Koyaanisqatsi era, ed è, quello di rallentare, per capire, studiare, trovare nuove soluzioni per non essere travolti. In verità, nel frattempo tutto – in particolare dopo l’avvento di Internet – è passato più velocemente ancora, se possibile, ed oggi servirebbe un nuovo film, un Koyaanisqatsi al quadrato…
Mentre rifletto su questo, decido di passare ad una scaffalatura che ospita alcuni libri legati all’hi-tech e dintorni, e dedicarmi un po’ a loro. Sarà una coincidenza, ma il primo che prendo in mano è un volumetto del 2007 – cinque lustri fa – dal titolo Impigliati nella rete. Per una controinformazione sul web, di Paolo Landi. Visto che non si tratta di un tomo di mole insormontabile, decido di rileggerlo all’istante, ancora con lo straccio in mano.
Landi, con straordinaria lucidità, scrive questo testo che apre gli occhi sul mondo virtuale del web e i suoi rischi, già allora palesi ma evidentemente sottostimati. Proprio perché ci riferiamo a 15 anni fa, nonostante non si parli all’interno che marginalmente del potere dei social (al tempo appena agli inizi), ecco un libro illuminante, che avrei scritto con le stesse parole dell’autore se avessi avuto la sua mirabile visione a 360°. In sostanza, nell’attesa che la bolla – come in tante altre situazioni dei “tempi moderni”, scoppi, nel libro viene evidenziato il ricco portfolio di effetti collaterali del web, fra truffe , trabocchetti pubblicitari e tutto quello che può trovarsi in un mondo virtuale, per non dire falso, ricco e prospero per i soliti furbi (altrimenti noti come cybercriminali) ai danni di ingenui o distratti.
Play, enjoy, repeat
In conclusione, per i fotografi, i videomaker, i content creator e tutti gli uomini di buona volontà, un consiglio finale, gratuito e non richiesto: acquistate Koyaanisqatsi, mettete in play, godetevelo, e ripetete all’infinito, magari invitando qualche amico a cui tenete davvero. Acquistate anche il libro Impigliati nella rete. Per una controinformazione sul web. Leggetelo, meditate, poi compratene qualche copia da regalare a quegli stessi amici.
Ve ne saranno grati.
Stefano Belli*
PS- A differenza di quanto accade nella maggior parte delle trasmissioni televisive, queste presentazioni di prodotto NON sono sponsorizzate, ma liberi suggerimenti del sottoscritto dettati dal piacere di condividere belle esperienze.
*Stefano Belli da più di 50 anni si occupa di hi-tech, prima come progettista hi-fi, poi di installazioni professionali (eventi live, discoteche, cinema). Dagli anni ’70 ha collaborato con Suono, Stereoplay, Car Audio, Reflex, Fotografare, Capital e i quotidiani La Repubblica e il Sole-24 ore. Nel corso degli anni ha fondato e diretto Audio Pro, VR Videoregistrare, Videotecnica, Mr. DeeJay, Cinemax, Alta Definizione Cinema & TV HD; è cofondatore del free press Technoshopping, autore di libri tecnici, membro storico di giurie foto e video anche internazionali, ideatore e condirettore artistico dei format Villaggio Tutto Digitale e Cinema Show, direttore tecnico di Cinema & TV School. Ha fondato nel 1998 la rivista Tutto Digitale, che tuttora dirige, e più recentemente lanciato Italian Cinematographer.
Da sempre si occupa anche di cibo & vino. Nel 1998 ha fondato il Carbonara Club, e successivamente ideato e prodotto il documentario Passione Carbonara (disponibile su DVD), il fumetto e lo short movie Le avventure di Mr-Food & Mrs Wine, e organizzato i Campionati del Mondo della Carbonara con e presso Eataly Roma. Attualmente è direttore del free press Mr Food & Mrs Wine e della Guida ai Ristoranti di Roma selezionati dal Carbonara Club.
Ama la carbonara, la musica, l’architettura moderna, e colleziona di tutto, di più: un collezionista di collezioni, insomma.