Editoriale di Tutto Digitale 112 (in arrivo nelle edicole)
Occuparsi di una rivista come Tutto Digitale non significa solo pensare agli argomenti del numero, incaricare i collaboratori di realizzare i diversi articoli, controllare il risultato e corredarli di immagini ad hoc preparandoli per l’impaginazione, e così via. Significa anche, in qualche modo, gestire una piccola comunità fatta di persone con le stesse affinità elettive, con la stessa passione (che spesso fa rima con professione). Significa condividere dubbi e riflessioni con chi deve effettuare un acquisto, incrociare le dita insieme a chi partecipa ad un concorso fotografico o video, essere parte di un meccanismo che porta molti lettori ad intraprendere una carriera professionale in una dei tanti rami del mondo tutto digitale, soffrire delle loro difficoltà, gioire dei loro successi.
Pensando poi ai più giovani, scarsi di esperienza e di nozioni tecniche, ma ricchi di entusiasmo, di voglia di fare, di capacità tutte da scoprire, ci sentiamo in qualche modo responsabili, quasi dei tutor che debbano aiutarli nella crescita, mettendo a loro disposizione la nostra esperienza (ed il nostro tifo) per allenarli al meglio.
Il tutto, per una sorta di dovere professionale che a nostro avviso è (o dovrebbe essere…) implicito nella professione giornalistica – ovvero quello di fornire un’informazione corretta, onesta, comprensibile, per aiutare il pubblico ad imparare il metodo e quindi effettuare le scelte autonomamente, non per dettare sentenze – ma anche per un’altra ragione. Nulla ci soddisfa di più del sapere che un ragazzo cresciuto con le nostre pubblicazioni abbia poi trovato il successo che meritava, o anche ‘solo’ (e non è poco) soddisfazione nel fare il lavoro che ama, anche se questo non necessariamente lo ha portato a vincere premi e riconoscimenti. Ci fa piacere, e ci dà lo stimolo a continuare nei momenti duri, qualche testimonianza reale. E in oltre quarant’anni di impegno nel settore qualcosa è successo, più di un lettore è diventato fotografo o regista importante, e il ricordo dei racconti di tante vite ci commuove sempre.
Un po’ prima del cambio di decennio, si presenta in redazione un ragazzo (per chi ha passato i sessanta un giovane sui trent’anni e più è sempre ‘un ragazzo’) dai capelli ricci e lo sguardo vivace, per parlarci di un corso di direzione della fotografia da realizzare nella natìa Pescara. è questo il primo contatto di un rapporto che poi si svilupperà nel tempo trasformandosi in una stretta collaborazione per la creazione e gestione dei contenuti di Italian Cinematographer, ‘la rivista ufficiale dell’AIC’ e in un’amicizia sincera, basata sulla schiettezza.
Il ‘ragazzo’ in questi anni si è occupato – con apprezzabile sforzo, considerato che ha ovviamente mantenuto il suo lavoro di dop – di intervistare il fior fiore dei direttori della fotografia italiani. Un lavoro impegnativo (avete idea di cosa significhi parlare con un dop durante magari la realizzazione di un film o una serie televisiva, farsi arrivare le foto ad hoc e così via), ma assai ricco, che probabilmente meriterebbe di essere raccolto in un libro dedicato ai Maestri della Luce.
Tante interviste in tanti anni, finché, prima dell’estate, ci viene un’idea, ovvero intervistare l’intervistatore, il ragazzo, ormai l’uomo, Michele D’Attanasio-AIC, reduce dai due film italiani più significativi del periodo (Lo chiamavano Jeeg Robot e Veloce come il vento) e al tempo al lavoro in Val d’Aosta sulla serie televisiva del commissario Schiavone.
E così, dopo qualche telefonata in orari impossibili fra Roma ed Aosta, abbiamo raccolto le impressioni di Michele sui film girati, i problemi relativi e via discorrendo, e pubblicato l’articolo. Articolo che ha evidentemente portato fortuna al nostro amico, o almeno così ci piace credere, visto che il 27 marzo gli è stato conferito il David di Donatello 2017 (miglior direzione della fotografia per Veloce come il vento). Con un po’ di commozione aggiungiamo al prestigioso riconoscimento qualche parola. Bravo! E ad maiora!
Stefano Belli
Foto dal set di Veloce come il Vento © Andrea Pirello