In anteprima assoluta ed esclusiva, ecco un estratto dal test completo della HDSLR EOS 1D-C, pubblicato su Tutto Digitale 81, in edicola e online.
La prima HDSLR 4K
(…) Abbiamo potuto sperimentare la versatilità della EOS-1D C in una condizione limite, ovvero un concerto dal vivo. Il regista e nostro collaboratore Mario Tani stava realizzando alcune riprese in 4K per un documentario di prossima uscita sul cantautore Franco Battiato; la configurazione prevedeva due postazioni fisse all’interno dell’auditorium, con due camere RED One su treppiedi, più una terza camera a spalla, in questo caso una RED Scarlet. Anche quest’ultima, nonostante il setup leggero, presentava un ingombro eccessivo per consentire all’operatore di avvicinarsi troppo agli spettatori. Con la EOS-1D C, invece, è stato possibile mischiarsi tra i fan che alla fine del concerto si sono accalcati sotto al palco, così da riprendere il loro punto di vista, rigorosamente in 4K, senza urtare nessuno e senza dare troppo nell’occhio. Ecco un esempio pratico di come la EOS-1D C possa integrarsi in un workflow 4K, aggiungendo un punto di vista unico sulla scena, un punto di vista che camere più pesanti non avrebbero potuto catturare. Il documentario è ora in fase di post-produzione e nei prossimi numeri pubblicheremo le impressione del regista e del direttore della fotografia, soprattutto per capire se sia stato possibile – e con quali difficoltà – integrare le immagini registrate con la EOS-1D C con quelle riprese dalle RED.
Di certo utilizzare una macchina come la EOS-1D C a mano libera, senza video-assistenza e senza un operatore dedicato per il controllo della messa a fuoco (il cosiddetto focus puller) non è un’impresa facile. Come già accennato, pesa la mancanza di opzioni focus assist, peaking e zebra; del resto la EOS-1D C è innanzitutto una camera pensata per il cinema, dunque per un ambiente di lavoro dove ogni inquadratura è studiata al millimetro e può essere provata e ripetuta molte volte.
Quanto alla qualità dell’immagini, abbiamo già accennato al livello eccezionale del dettaglio e alla straordinaria sensibilità alle basse luci, superiore a qualsiasi reflex o videocamera della stessa fascia di prezzo. A voler trovare il pelo nell’uovo, bisogna rilevare qualche limite del formato di compressione utilizzato: il codec scelto da Canon per il 4K, infatti, è di tipo Motion-Jpeg, con un sotto-campionamento 4:2:2 a 8 bit. Come sappiamo la compressione JPEG, unita a un campionamento colore a 8 bit – in cui ciascuna delle tre componenti colore ha solo 256 livelli possibili – può produrre artefatti a blocchi e problemi di banding, ovvero variazioni improvvise e nette di gradazione (specie in corrispondenza di uno sfondo di colore omogeneo). E nonostante il flusso dati di oltre 500 Mbps, anche l’algoritmo utilizzato dalla EOS-1D C in 4K non è immune da questi difetti. Gli artefatti cominciano a essere meno visibili lavorando a 400 ISO o più, in quanto la comparsa di una certa dose di grana confonde i blocchetti della compressione JPEG, operando una sorta di dithering. Dunque, anche se la registrazione diretta su Compact Flash è una soluzione estremamente pratica, sarebbe stato altrettanto utile avere un output 4K a 10 bit da inviare a un recorder esterno via HDMI; una soluzione che avrebbe garantito il massimo della qualità, anche se di certo avrebbe fatto lievitare ulteriormente i costi.
In Full HD, invece, il codec H.264 sembra dare risultati migliori, soprattutto nella modalità I-frame only (ALL-I), in cui cioè ogni singolo fotogramma è codificato in modo indipendente (il flusso dati è di 90 Mbps a 25p, 180 Mbps in formato 50p).
In conclusione, per ottenere la migliore qualità di ripresa sia in 4K che in HD è preferibile lavorare a ISO 400 e impostare l’otturatore a 1/50 o 1/100 di secondo. Velocità superiori a 1/200 di secondo possono produrre sfarfallii o immagini poco fluide. Va da sé che utilizzare un’elevata sensibilità ISO e un otturatore non troppo veloce rende assolutamente indispensabile l’utilizzo di filtri ND aggiuntivi quando si lavora in esterno giorno e si vuole sfruttare un diaframma aperto, per ottenere una profondità di campo ristretta.
Per quanto riguarda il noto problema del rolling shutter, la distorsione geometrica dei soggetti in movimento tipica dei sensori CMOS, la EOS-1D C presenta qualche miglioramento rispetto alle video-reflex di fascia più bassa, ma siamo ancora lontani dalle prestazioni ottenute con camcorder veri e propri che montano sensori ottimizzati per il video e non per lo scatto fotografico. Dunque, anche con la EOS-1D C sarà meglio evitare panoramiche a schiaffo e movimenti di macchina troppo veloci. Al contrario la EOS-1D C sembra del tutto immune da un altro prolema tipico delle video-reflex, cioè l’effetto moiré, un disturbo molto fastidioso che si forma in presenza di trame molto sottili. (…)
Qualche schermata tratta dalle clip
400 ISO
800 ISO
1600 ISO
6400 ISO
25600 ISO
La Canon EOS-1D C offre una straordinaria sensibilità alle basse luci. Oltre i 12.800 ISO è stato necessario spostare fuori campo (a circa un metro di distanza) le uniche due fonti di illuminazione, ovvero le due piccole candele, per non bruciare l’immagine. E a 25.600 ISO la qualità video ancora regge! (…)
Estratto da Tutto Digitale 81, in edicola e online