Ogni immagine è il ritratto mio,
come se avessi fotografato me stesso.
(Mario Giacomelli)
Senza tempo è un progetto che parte dalla frase di Mario Giacomelli, che ha sempre rappresentato l’idea alla base della fotografia di Mariano Biazzi Alcantara, per definirne un punto di rottura, o di crescita, nella produzione e nell’approccio al media stesso.
L’architettura nuda e cruda, specchio attraverso il quale l’autore (architetto) ha fotografato sé stesso, non è più lo spazio in cui sentirsi totalmente libero di esprimersi, bensì un vincolo alla dimensione metafisica ed intellettuale della riflessione.
Al contesto architettonico, nella sua accezione artificiale, si accostano elementi naturali; la ricerca della pulizia delle linee si contamina di elementi geometrici appartenenti ad oggetti fuori campo; l’autore non soltanto si rivela, ma appare come soggetto stesso di alcune delle sue immagini riportando ad un bisogno di egotismo, ma anche di confronto col mondo esterno alla fotografia, che non è più l’hortus conclusus in cui sentirsi libero di esprimersi, bensì uno spazio “fuori campo”: un “overs” che è anche oltre, sinonimo di superamento e di maturazione.
Il fotografo “vede” prima dell’artificio fotografico: il suo sguardo non è guidato dal mirino ma, al contrario, sottende il suo “obbiettivo”.
Queste polaroid, scattate nel corso di un ventennio, compongono un racconto il cui equilibrio si sposta dalla narrazione cronologica alla sequenza emotiva con l’intento di fermare il tempo attraverso un punto di rottura (l’istante) ed annullarlo. Lascia il tempo che trova; trova il tempo che lascia senza tempo.
“Di per sé la Polaroid è già unica, ogni scatto è unico e una polaroid non sarà mai uguale all’altra, diventa un’immagine irripetibile…è lo scatto in quel preciso momento che non si ripete.”
Walter Borghisani
Curatore
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“L’arte della fotografia sottende il concetto di tempo in forma al ricordo e alla necessità di riviverlo.
La pratica del fotografo si traduce spesso in esigenza istantanea di immortalare il momento, l’evento o il luogo nell’ottica di appropriarsene, di fatto, catturandolo.”
La visione superficiale di questo processo mostra allo spettatore solo immagini, fatte di tempi e luoghi.
Ma nei dettagli è possibile muovere lo sguardo se la volontà è quella di cercare l’Altro.
E per Altro intendiamo l’autore.
Come per un ritratto possiamo delinearne alcune caratteristiche, percepire le abitudini, tracciare gli spostamenti, intuirne i pensieri.
Nell’opera di Mariano Biazzi Alcantara è dichiarato l’intento unico dell’essere espresso tramite il mezzo a sviluppo istantaneo.
Ogni singola polaroid è sguardo lucido e disincantato volto a cogliere e a vivere il tempo fotografico come suo, intimo e unico, immediato.
Ritroviamo il suo lavoro d’architetto fatto di geometrie nette e composizioni precise.
Si percepiscono i luoghi ove si sposta, tra campi padani, borghi d’Italia e città spesso viste nella loro dimensione di spazio e luogo, private delle persone, in equilibrio tra buio e luce.
Tra periferie e centri storici lo sguardo è puntato a terra e da terra come a restituire un contatto urbano in una appropriazione spaziale e di recupero.
Conosciamo inoltre le sue passioni in bilico tra il design, la musica, i libri.
Il ritratto costituito restituisce l’immagine di un tempo lento.
Di un autore nascosto, spesso isolato nel riconoscere uno spazio come suo, nello scrivere una geometria, nel ricordare un evento, nel seguire la luce e nel tracciare un percorso e un suo spostamento.
Mariano ricerca.
E cerca sé stesso in un lento incedere, quasi senza tempo.
Filippo Centenari
Artista; Professore, Libera Accademia Belle Arti
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Bio:
Mariano Biazzi Alcàntara, architetto, nasce a Panama nel 1967.
Ha legato, per anni, la documentazione urbanistica ed architettonica e la fotografia istantanea alla sua produzione artistica.
Considera la Polaroid, di per sé già unica nelle sue diverse declinazioni, capace di accentuare la brevità del gesto fotografico ed in grado di annullare il tempo, complice il supporto sul quale pratica, in fase di sviluppo, la manipolazione ed il transfer attraverso cui il rapporto col media stesso, inteso anche in senso fisico, si carica di intimità.
Ama utilizzare macchine analogiche a pellicola di medio e grande formato, e ritiene la fotografia uno spazio dove potersi esprimere attraverso le immagini, liberamente. Per questo motivo ha approfondito lo studio di autori, tra gli altri, come Ghirri, Eggleston, Shore, Sternfeld, Meyerovitz e il contemporaneo Soth, affascinato dal loro modo di approcciare e fotografare in maniera anticonvenzionale e lontana dagli stereotipi classici della disciplina tecnica.
Ha al suo attivo decine di esposizioni presso gallerie e manifestazioni in svariate città d’Italia (tra cui possiamo citare Milano, Brescia, Parma, Bologna, Genova, Modena), ed alcune pubblicazioni su riviste di settore, anche internazionali.
“L’intero processo della Polaroid non ha niente a che fare con la nostra esperienza contemporanea, dove possiamo guardare al virtuale e farlo svanire, cancellandolo dallo schermo per scorrere verso ciò che viene dopo. Qui abbiamo l’opportunità di possedere qualcosa di originale, non una copia, non qualcosa di replicabile o ripetibile”