Nonostante il termine “Street Photography” sia stato adottato in diversi contesti sin dalla fine dell’Ottocento non esiste un preciso riferimento ad un genere fotografico nella sua specificità da un punto di vista storiografico.
In un’intervista del 1981, il fotografo Garry Winogrand, oggi riconosciuto come una delle figure preminenti di questo genere, dichiarava “stupida” questa classificazione. Prima di lui questo appellativo era stato rifiutato da altri importanti fotografi. Nel 1985 il numero 101 della rivista Aperture apre con l’editoriale dal titolo “The human street” in riferimento ad una convenzionale “Street Photography” ispirata dal lavoro dei grandi maestri, Cartier-Bresson, Robert Frank e lo stesso Winogrand.
Bystander: a History of Street Photography (1994) di Colin Westerbek e Joel Meyerowitz è il primo libro che codifica questo genere con un carattere storico autorevole.
Il libro indaga il divenire del genere inquadrandolo all’interno di un ampio quadro storico coinvolgendo autori che normalmente non vengono associati a questa tipologia d’immagine.
L’immagine presa singolarmente non può essere codificata. E’ l’approccio del fotografo ad essere determinante per definire il significato. La fotografia di strada è un modo di essere e vivere la fotografia che è usata come linguaggio con cui esprimersi.Il potenziale della fotografia nel congelare i gesti con una velocità e agilità che sono peculiari dell’istantanea sono stati già eloquentemente ottenuti con l’affermarsi del piccolo formato agli inizi del XX° secolo.
Anche se si sono raggiunti traguardi considerevoli nel primo secolo di vita della fotografia, è attraverso lo sguardo di André Kertész in Europa e di Walker Evans in America che possiamo ritenere maturo il linguaggio della “Street photography”. Il lavoro di Robert Frank nel celebre volume The Americans aggiunge un nuovo valore grazie alla sequenzialità dell’iconografia fotografica.
Curiosamente nella recente edizione diBystander …(2017) è stato inserito un nuovo capitolo intitolato “Now and then: in defense of traditional Street Photography”, nel quale gli autori sostengono di non essere d’accordo con molte declinazioni che il genere sembraaver assunto negli ultimi anni.
Pur non mettendo in discussione la validità del lavoro degli autori più recenti questa parte del libro sembra prendere le distanze rispetto a proposte che si allontanano dai tradizionali valori estetici d’intuizione, invisibilità e spontaneità. Soprattutto le più recenti proposte sembrano aver perso di vista l’obiettivo principale della fotografia di strada: raccontare l’uomo nel suo tempo.
Il gruppo Mignon già dagli anni ’90 intitola alcune delle proprie mostre “Fotografia di Strada” e “Paesaggio umano” non solo per sdoganare questi termini e per delimitarne il campo d’azione, ma anche per proporre delle esposizioni dove l’accostamento delle immagini, non per autore, ma per contenuti, restituissero all’osservatore un chiaro esempio di cosa aspettarsi da questo genere fotografico in relazione al proprio tempo.Rethinking the human street rappresenta la volontà da parte di questo collettivo italiano di confermare un approccio autentico alla fotografia di strada contemporanea.
Angelo Maggi
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